di Aurora Maria Romerio – Avvocato socio AGI (Avvocati Giuslavoristi Italiani)
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 118 del 21 luglio 2025, è intervenuta nuovamente sulla disciplina dei licenziamenti in regime di tutele crescenti (Jobs Act), applicabile ai lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015. La Corte, con la sentenza richiamata, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015, ritenendo illegittimo il limite massimo di sei mensilità per l’indennità risarcitoria dovuta dai datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali dei 15 dipendenti, così come previsti dall’art. 18, ottavo e nono comma, dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970).
Questa pronuncia, che sembra originare dalla necessità di ottenere quanto non raggiunto con il referendum del giugno 2025, comporta significative modifiche in merito al quadro sanzionatorio in materia di licenziamento, implicando per le aziende che occupano meno di 15 lavoratori un’attenta valutazione dei rischi e dei costi conseguenti alla cessazione dei rapporti di lavoro.
I CONTENUTI
Come noto, l’art. 9, comma 1, del “Jobs Act” prevede(va) infatti per i datori di lavoro che occupano meno di 15 dipendenti un regime di tutela ridotto in caso di licenziamento riconosciuto illegittimo.
La riduzione opera(va) attraverso il meccanismo del dimezzamento il quale prevede che, per le aziende c.d. di piccole dimensioni, nei casi in cui debba trovare applicazione la sola tutela indennitaria (quindi al di fuori del campo di applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 2, che trova comunque applicazione anche alle aziende di piccola dimensione per i casi, ad esempio, di licenziamento nullo o discriminatorio), l’ammontare dell’indennità prevista per i casi in cui venga riconosciuta la illegittimità del recesso, risultando comunque estinto il rapporto di lavoro (art. 3, c. 1 D.Lgs. n. 23/2015) e per i casi in cui vengano accertati vizi formali (art. 4, c. 1 D.Lgs. n. 23/2015), così come l’ammontare dell’importo previsto per l’offerta di conciliazione (art. 6, c. 1), siano dimezzati e non possano in ogni caso superare il limite di sei mensilità.
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alle parole “e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”.
LE CONSEGUENZE
Questo significa che, ad oggi, rimane comunque in vigore il meccanismo del dimezzamento sopra evidenziato con riferimento alle diverse fattispecie contemplate dalla norma per le imprese “di piccole dimensioni” (che non raggiungono il limite dimensionale dei 15 dipendenti), mentre non è più applicabile il tetto massimo delle sei mensilità con la conseguenza che in caso di licenziamento illegittimo spetterà al giudice del lavoro fissare in concreto, caso per caso, il limite massimo dell’indennizzo spettante al lavoratore illegittimamente licenziato.
Nello specifico, quindi, la tutela economica del lavoratore (si ricorda, assunto a far data dal 7 marzo 2015) viene potenziata, con la previsione di indennizzi che possono arrivare – in relazione alle fattispecie contemplate – anche fino a 18 mensilità (per le ipotesi cui all’art. 3, c. 1 D.Lgs. n. 23/2015) – con conseguenze economiche in termini di rischio e di bilancio aziendale facilmente immaginabili, seppure di difficile giustificazione per molte realtà produttive del nostro paese.
Tale decisione, però, crea una evidente frattura tra gli assunti prima del 7 marzo 2015 nelle aziende sotto i 15 dipendenti defi nite “sotto soglia” (ai quali continua a trovare applicazione l’art. 8 L. n. 604/1966 che prevede una tutela indennitaria di massimo 6 mensilità) e coloro ai quali trova applicazione la disciplina del D.Lgs. n. 23/2015, cui spetta, ad oggi, ad indennità potenzialmente senza un limite. In buona sostanza, all’interno della stessa impresa che occupa meno di quindici dipendenti si possono avere, oggi, due categorie di lavoratori.
Quelli assunti post-Jobs Act a partire dal 7 marzo 2015, che in caso di licenziamento illegittimo avranno diritto a un’indennità potenzialmente triplicata (fino a 18 mesi) rispetto ai colleghi assunti prima del 7 marzo 2015, il cui risarcimento è limitato al massimo delle 6 mensilità.
Non si può non considerare che, alla luce dell’intervento della Corte Costituzionale in oggetto, le decisioni aziendali – soprattutto per i casi di riorganizzazione – potrebbero essere guidate a più dal requisito dell’anzianità di servizio che da esigenze legate al ruolo; spingendo i datori di lavoro a risolvere per primi i rapporti di lavoro instaurati prima del 7 marzo 2015, in quanto soggetti a un regime sanzionatorio – nei casi di contenzioso – decisamente meno oneroso (si tratta di una differenza nel massimo anche di 12 mensilità), rispetto agli ultimi assunti.
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