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LAVORO E PREVIDENZA – Dopo i referendum: nulla cambia per il lavoro

di Aurora Maria Romerio – Avvocato socio AGI (Avvocati Giuslavoristi Italiani)

L’art. 75, comma 4, della Costituzione stabilisce che “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”.

L’8 e il 9 giugno 2025, gli Italiani sono stati chiamati ad esprimersi su cinque quesiti referendari abrogativi, quattro dei quali riguardanti il diritto del lavoro. Nessuno dei referendum ha raggiunto il quorum del 50%, fermandosi a un’affluenza attorno al 30%.

Alla luce di tale risultato restano ferme le norme in materia di lavoro che erano oggetto dei quesiti referendari e che vale la pena riepilogare.

REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO

Il primo quesito tendeva all’abrogazione del D.Lgs. 23/2015, meglio noto come “Jobs Act”, contenente le disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in attuazione della L. 183/2014, che rimane in vigore nella versione attualmente vigente, frutto di interventi sia normativi sia della Corte Costituzionale. Il “Jobs Act”, lo ricordiamo, ha introdotto il contratto a tutele crescenti, limitando fortemente la reintegrazione nel posto di lavoro per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, in aziende con più di 15 dipendenti. Questa disciplina ha segnato il superamento dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, già modificato dalla riforma Fornero, trasformando la reintegrazione da rimedio ordinario a eccezione.

MISURA DELL’INDENNITÀ RISARCITORIA

Il secondo quesito mirava a rimuovere il limite massimo di sei mensilità per la misura dell’indennizzo previsto dall’art. 8 della L. 604/1966 in caso di licenziamento illegittimo per i lavoratori di imprese occupanti meno di 15 dipendenti. L’articolo in oggetto, applicabile ai lavoratori assunti nelle piccole imprese prima del 7 marzo 2015, è rimasto invariato.

Pertanto, in caso di illegittimità del licenziamento e in alternativa alla riassunzione, rimane inalterata la previsione per cui la misura dell’indennità risarcitoria da riconoscere al lavoratore deve essere compresa fra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti). Resta ferma anche la parte della disposizione secondo la quale “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”.

CAUSALE CERTIFICAZIONE

Il terzo quesito proponeva di abrogare una parte di un decreto legislativo del giugno del 2015 in base al quale un datore di lavoro può assumere a tempo determinato un lavoratore per i primi dodici mesi senza darne una motivazione (la cosiddetta causale), mentre è obbligato a specificare la causale se la durata di quel contratto si prolunga oltre il primo anno. Anche tale normativa è rimasta invariata. Sarà, quindi, ancora possibile per i datori di lavoro assumere lavoratori a tempo determinato fino a 12 mesi senza la necessità di indicare alcuna causale, mentre, per quanto attiene ai rapporti aventi durata superiore a 12 mesi, il ricorso al lavoro a termine sarà possibile solo in presenza di una delle causali di cui all’art. 19 del DLgs. 81/2015, ossia: nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del DLgs. 81/2015; in assenza di tali previsioni, nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque, entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; in sostituzione di altri lavoratori.

CORRESPONSABILITÀ SOLIDALE

Il quarto quesito riguardava la cosiddetta responsabilità solidale tra impresa committente e impresa appaltatrice in caso di incidenti sul lavoro. La legge attualmente in vigore prevede che in caso di appalto, il committente (cioè colui che commissiona una certa opera o un certo servizio) sia corresponsabile in solido con l’appaltatore o il subappaltatore (cioè coloro che devono eseguire quell’opera o quel servizio) per gli infortuni accaduti ai dipendenti di questi ultimi con l’eccezione per i danni che sono una «conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici».  

Ad oggi, rimane ferma l’esclusione della responsabilità solidale dell’imprenditore committente per i danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici prevista dal comma 4 dell’art. 26 del DLgs. 81/2008.

Alla luce dell’esito referendario e della complessità dei temi trattati, si impone una riflessione sul ruolo e sulla forma dei meccanismi di democrazia diretta. Il diritto del lavoro è oggi una materia altamente tecnica, soggetta a continui interventi legislativi e correttivi giurisprudenziali. È auspicabile, pertanto, un intervento legislativo organico che consenta di affrontare questi temi in modo sistemico e coerente, come più volte indicato anche dalla Corte Costituzionale.

 

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